Pur operando in un ambiente in costante mutamento, l’obiettivo di tutte le imprese è la continuità nel tempo. Per far sì che ciò accada esse devono operare in condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
L’equilibrio economico, che può essere definito come la capacità dell’impresa di generare reddito, si ha quando i ricavi della gestione permettono di coprire i costi della stessa, lasciando un margine per un compenso considerato equo al capitale di rischio. L’impresa deve anche essere in grado di remunerare il fattore lavoro, creando nuova ricchezza nell’ambiente in cui opera e distribuendo il valore aggiunto creato.
L’equilibrio finanziario si ha quando l’azienda è in grado di far fronte con le proprie entrate agli obblighi di pagamento assunti in precedenza ed agli investimenti che si rendono necessari, mentre l’equilibrio patrimoniale si ha quando vi è un rapporto adeguato tra impieghi e fonti di finanziamento, rapporti ottimali fra capitale proprio e capitale di terzi ed infine rapporti opportuni tra attivo immobilizzato e attivo circolante. Nello specifico i debiti a medio e lungo termine devono essere d’importo inferiore agli impieghi a medio e lungo termine, l’azienda deve essere sufficientemente capitalizzata ed inoltre deve essere flessibile; per questo motivo è importante che le immobilizzazioni non incidano notevolmente sul totale degli impieghi.

Bilancio d’esercizio e Key Performance Indicators

La situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’azienda sono rappresentate nel bilancio d’esercizio redatto dagli amministratori alla fine di ogni periodo amministrativo. Il bilancio ha una duplice funzione: permette di esprimere un giudizio sull’impresa attraverso la conoscenza della gestione e dei risultati, che evidenzia il reddito realizzato dall’impresa nel periodo amministrativo in questione, il capitale disponibile al termine di tale periodo e garantisce la comunicazione delle informazioni di carattere economico, finanziario e patrimoniale agli stakeholder sia interni che esterni all’azienda quali banche, finanziatori, dipendenti, clienti, Pubblica Amministrazione e soci, al fine di permettere loro di prendere decisioni opportunamente supportate da dati e notizie.
Per raggiungere questo scopo, nel corso degli anni, il legislatore ha adeguato la normativa in materia di bilancio alle sempre maggiori esigenze informative che ruotano intorno ad esso, rendendo tale strumento più chiaro e confrontabile con il bilancio di aziende estere ed escludendo la possibilità che siano eseguite valutazioni discrezionali da parte degli amministratori. Tutto ciò non fa altro che migliorare l’efficacia del bilancio d’esercizio e garantisce un migliore e più trasparente utilizzo di questo strumento.
Ma i dati forniti dal bilancio hanno un limite; questi contengono informazioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario sull’azienda ma non permettono a chi li legge di confrontare i risultati delle diverse aree aziendali e di effettuare delle valutazioni rispetto ai risultati ottenuti negli esercizi precedenti o rispetto alle aziende concorrenti. Al fine di consentire una facile e veloce lettura ed interpretazione dei dati presenti in bilancio, molte aziende hanno introdotto degli indicatori di sintesi, i cosiddetti KPI, che permettono di tenere sotto controllo l’andamento generale dell’azienda, sia per quanto riguarda gli aspetti economici che finanziari e forniscono informazioni rilevanti circa la sua capacità di generare risorse e di garantire l’equilibrio economico e finanziario. Dalla necessità di monitorare le due condizioni di equilibrio sono nate tre tipologie di indicatori: gli indici di redditività, per monitorare la situazione economica aziendale, data dalla differenza tra costi e ricavi, nel medio-lungo periodo, e gli indici di solidità e liquidità per monitorare quella finanziaria.
Gli indici di redditività più diffusi sono il ROE o Return on Equity, dato dal rapporto tra il reddito netto ed i mezzi propri; questo misura il rendimento dell’investimento effettuato dagli azionisti e di conseguenza anche il loro grado di soddisfazione. Il ROE è considerato accettabile se la somma tra il rendimento reale degli investimenti privi di rischio, pari al rendimento dei titoli di Stato ed il premio per il rischio, che varia a seconda della rischiosità dell’impresa, è superiore rispetto al rendimento di investimenti alternativi. Occorre quindi valutare il costo opportunità dell'investimento nell'azienda in questione.
Un altro indice di redditività molto utilizzato è il ROI, risultante dal rapporto tra il risultato operativo aziendale ed il capitale investito netto operativo: esso indica la redditività della gestione caratteristica aziendale, cioè il rendimento del capitale investito.
Il ROI è considerato adeguato quando è in grado di remunerare l’impiego del capitale in investimenti privi di rischio, il premio per il rischio ed il prelievo fiscale, in quanto considera l’utile al lordo delle imposte.
Il ROA o Return on Assets è uno degli indici più utilizzati nell’analisi della redditività aziendale ed indica l’efficienza nell’uso delle risorse a disposizione dell’impresa per produrre utile dallo svolgimento della propria attività. Si ottiene dal rapporto tra l’utile netto ed il totale dell’attivo. La sua rilevanza dipende dal valore ottenuto; un ROA elevato corrisponde ad un adeguato utilizzo degli asset aziendali.
Insieme agli indicatori di redditività vengono utilizzati gli indicatori finanziari, in quanto è opportuno tenere sotto controllo non solo la situazione economica aziendale ma anche quella finanziaria, al fine di capire quali sono le fonti che permettono all’azienda di finanziare la propria attività e dove l’impresa ha effettuato i propri investimenti oltre a quali sono i rischi derivanti dalle modalità di finanziamento e dall’impiego dei capitali ricevuti dall’azienda.
Tra gli indicatori che vengono utilizzati con maggior frequenza, per ciò che riguarda l’attivo, vi è quello relativo al grado di elasticità degli impieghi; questo è il risultato del rapporto tra il capitale circolante, cioè da tutti gli investimenti con periodo di recupero inferiore ai dodici mesi come le rimanenze, i crediti e la cassa ed il capitale investito, che comprende tutti gli investimenti effettuati dall’azienda. L’elasticità degli impieghi permette di conoscere il grado di elasticità della struttura aziendale.
Passando al passivo, gli indicatori più utilizzati sono l’indice di autonomia finanziaria, che si ottiene dal rapporto tra il capitale proprio ed il totale dei finanziamenti ed esprime l’incidenza percentuale dei mezzi propri sul totale dei finanziamenti, ed il grado di indebitamento, che si ottiene dal rapporto tra capitale di debito e capitale acquisito, indicando quanta parte dei finanziamenti ricevuti dall’impresa dovrà poi essere restituita.
Per capire se un’azienda dovrà affrontare problemi di liquidità nel breve periodo, viene utilizzato un indicatore dato dal rapporto tra capitale circolante e debiti a breve termine. Se l’indicatore è inferiore ad 1 l’azienda non sarà in grado di far fronte ai propri impegni, mentre una corretta dimensione dell’indicatore si colloca su valori compresi tra 1 e 2, anche se l’indicatore deve essere integrato da altri strumenti, quali il prospetto delle previsioni settimanali degli incassi e dei pagamenti; un’impresa infatti può essere in difficoltà finanziaria se tutti i suoi debiti scadono all’inizio dell’anno e tutti i crediti sono monetizzabili alla fine del periodo.
Gli indicatori di sintesi sono uno strumento fondamentale per monitorare l’andamento aziendale sia dal punto di vista economico che finanziario ma devono essere utilizzati con parsimonia poiché gli indicatori utilizzati devono essere rilevanti, cioè strettamente legati ai processi decisionali dell’impresa al fine di supportarne le decisioni nelle aree critiche di gestione, nelle quali si collocano i fenomeni che maggiormente incidono sulle performance.